Aung San Suu Kyi , premio nobel della pace attivista per una pace spirituale contro la dittatura militare, dice della sua Birmania:
“è una società politicamente più depauperata ma spiritualmente più vibrante”.
Nella protesta contro i soprusi militari, torture ed assassini, nel 2007, prevale il coraggio morale che diventa caposaldo di un attivismo spirituale non violento nel mondo. Ne è scaturito un contrasto archetipico di forze opposte: monaci buddisti che intonavano preghiera d’amore davanti a file di militari armati, è un messaggio nelle nostre stesse vite. La Birmania un paese spaccato molto complesso che fa fatica ancora ad integrare le polarità umane, dalla spiritualità alle repressioni militari subite negli anni. I soldati sparano sui monaci ferendo ed uccidendo. A Rangoon 15 monasteri vengono svuotati completamente, torture e detenzioni contro monaci e dimostranti. Mahatma Gandhi diceva “ la verità e l’amore hanno sempre trionfato”. E’ la rivoluzione non violenta più coraggiosa e più spiritualmente coinvolgente cui il mondo abbia mai assistito. “ Aung San Suu Kyi dice “sentitevi sempre liberi, nessuno può legare la mente anche se possono incatenarvi il corpo. Bisogna usare il coraggio per ascoltare la propria coscienza, sentire, ascoltare, vedere ed agire. E’ una lotta universale pacifica per fondare società libere e dar vita ad un’espressione democratica nuova e illuminata, in cui la democrazia avrà un volto umano che predilige il dialogo al predominio, la gentilezza alla crudeltà, la compassione all’omicidio”.
Birmania nazione del sud est Asiatico con 45 milioni di abitanti, circa un milione tra monaci e monache e più di cinquemila monasteri. Colonia Inglese per più di cento anni, nel 1962 con un Golpe Militare ed una politica isolazionista, il generale Ne Win espulse i giornalisti stranieri, strangolò la stampa ed istituì uno stato di polizia basato sul terrore, repressione e tortura. Ciò portò a disperazione, miseria e corruzione. Nel 1988 ci fu una rivolta di studenti, in cui 40 ragazzi furono uccisi. Il generale Ne Win annunciò il proprio ritiro che non fu accettato dai membri del suo partito. Ci furono dimostrazioni di non violenza per il ritorno alla democrazia e la risposta fu con il massacro del 8/8/88 che fu un bagno di sangue tragico che superò la carneficina che un anno dopo avrebbe insanguinato la piazza Tienanmen in Cina.
Aung San Suu Kyi, figlia del famoso leader assassinato Aung San, che nel 1947 aveva guidato il paese verso l’indipendenza dopo quasi 150 anni di dominazione coloniale inglese,dichiarò di non poter rimanere indifferente a tali eventi drammatici. Muovendosi sulle orme di Mahatma Gandhi e Martin Luther King impiegò tattiche di non violenza e disubbidienza civile per affermare la democrazia. Il suo messaggio essenziale di auto-responsabilità radicato nel Buddismo si sviluppò in una nobile ideologia politica che essa stessa definì “ la rivoluzione Birmana dello spirito ”
Nel 1988 quando la svolta democratica sembrava imminente, il governo militare in maniera subdola mantenne il potere. Intervistata dopo i sei anni di prigionia la leader dice
“ non è cambiato niente dal mio rilascio, il mondo deve sapere che siamo ancora prigionieri del nostro stesso paese. Una nazione tenuta in ostaggio da cui si alza continuamente una voce di libertà e speranza”. Il paese esce dall’isolamento e viene preso come modello di sviluppo quello tailandese che da decenni batte alle loro porte con corruzione, contrabbando di eroina, discoteche e supermercati.
Aung San Suu Kyi offre un grande visione che antepone il rispetto di sé, la dignità umana,la compassione e l’ amore al di sopra di qualsiasi considerazione materialistica. Costretta agli arresti domiciliari, isolata dalla sua famiglia per anni, indossa la propria spiritualità senza esibizionismi con discrezione, è una pellegrina dell’anima. Convinta della propria felicità mentre lotta per l’indipendenza altrui, il suono della voce come un canto melodioso,professa l’integrità politica ossia l’onestà politica “non si può ingannare la gente” La spiegazione di tanta violenza è nella disonestà e nella povertà. Si è stati costretti ad arruolarsi, con promesse di soldi e sostentamenti per la famiglia e minacce di torture . Nessuno dialoga davvero, hanno paura, c’è mancanza di fiducia nel bene. “La paura si radica nell’insicurezza e l’insicurezza nella mancanza di amorevolezza. La gente cercherà vendetta dopo la vittoria della democrazia. La non violenza non è passività ma coscienza ed autoaffermazione dei propri diritti. Dhamma e politica hanno le stesse radici nella libertà. C’è bisogno di verità, riconciliazione ed assumere le responsabilità degli errori e riconoscerli con le scuse. L’isolamento non è qualcosa da temere. Nessuno può umiliarti tranne te stesso. Tutta la vita spirituale è buona amicizia. Il Buddismo impegnato è compassione attiva, è trasmettere amorevolezza. Non si può separare una persona dai suoi valori spirituali. La vita deve essere imperniata sulla ricerca della felicità e fiducia reciproca. La mia massima aspirazione è molto spirituale: la purezza della mente. La verità è un’arma formidabile. La verità è un anelito verso il quale tendiamo incessantemente. La ricerca della verità deve essere accompagnata dalla consapevolezza. Tutta la vita spirituale è buona amicizia. Se sei interessato agli altri, impari il loro punto di vista con l’ascolto, li osservi e desideri conoscere quante più cose di loro. I migliori amici sono quelli che mettono in luce il miglior lato di te e ti incoraggiano a sviluppare i tuoi lati migliori. Sei felice dei successi dell’altro perchè entri in sintonia e ti elevi con la felicità altrui. Credo nella stupidità che comprende l’avidità che è miope, come la rabbia e l’ignoranza. Per non sentire rabbia ti devi elevare sopra la situazione contingente. Siamo noi che imprigioniamo gli aguzzini perchè li demonizziamo in una forza del male e perpetriamo questo circolo vizioso dell’oppresso e dell’oppressore. Più mi perseguitavano più aumentavano i consensi democratici dei miei seguaci..quindi ciò era da un lato positivo.. ma dall’altro aumentava la distanza tra noi e loro!!! I militari possono cambiare velocemente se gli viene insegnato ad ubbidire a qualcosa di positivo.”
dal libro “ la mia Birmania” di Aung San Suu Kyi in conversazione con il giornalista Alan Clements.
BIRMANIA rinominata Myanmar nel 1990 con capitale Rangoon cambiata in Yangon, l’ho vissuta e fotografata e mi porto dentro l’impressione di un paese devastato, vessato, ridotto alla miseria. In realtà dopo circa cento anni di colonizzazione inglese e circa 50 anni di dittatura militare, con trattamenti disumani, esili politici, stragi, assassini, arresti, torture, persecuzioni contro studenti ribelli e monaci buddisti, questo è quello che rimane. Ciò che ha salvato la Birmania è stata la spiritualità, la fede Buddista. Theravada è la tradizione buddista più diffusa ed è la religione dominante ed è viva da circa 4000 anni. Le popolazioni cristiane e mussulmane, circa l’8% una minoranza, hanno subito una persecuzione religiosa e più di 3000 villaggi sono stati distrutti negli ultimi dieci anni. Il buddismo che prevale è la fede radicata nel popolo che si manifesta con la loro gentilezza, pazienza, accoglienza, delicatezza. Un popolo abituato a vivere con il corpo al servizio di altri…ma con la mente libero nella sua spiritualità. La Birmania si è difesa portando avanti una battaglia pacifica asseverando ai principi del Buddismo : amorevolezza, compassione, senso forte della comunità, verità, responsabilità. Questa terra ha ancora il volto della miseria e dello sfruttamento. E’ emozionante vedere processioni di monaci che sfilano
per raccogliere il cibo sapendo che comunque sempre qualcuno donerà, i monasteri dove tutti sanno che possono trovare da mangiare e un posto dove dormire, le persone tutte con il viso colorato con il Tannaka per proteggersi la pelle dal sole ma anche per sembrare più bianche e truccate, le longi indossate dagli uomini e dalle donne, le infradito che tutti indossano in ogni luogo anche per fare trekking, la tecnologia che avanza – cellulari di ultima generazione (economici perchè importati dalla Cina). Ti guardi intorno e ti trovi immerso nella povertà tra ambulanti, mercati, moltitudine (6.000.000 di persone nella capitale Yangoon ) . Gente che affolla le strade e straripa dai camion sempre con il sorriso pronto. Sono maestri nei mestieri più antichi, dal tessere il filo di cotone ricavato dal fiore di loto, al battere e forgiare il ferro arroventato, al lavorare l’oro e l’argento, un’abilità nella pesca e nella coltivazione dei campi ancora con l’aratro. Questa grande manualità che hanno conservato, nonostante le mortificazioni e le sofferenze, ha accompagnato l’economia del paese, permettendo la sopravvivenza ai più poveri. Le donne lavorano nei campi come mondine e per strade sollevano massi come gli uomini. I mercati sono fiorenti di fiori, di pesce, di tè e di tabacco. Gli uomini indossano i longyi, una sorta di gonna tessuta localmente e le donne fumano i cheroot, i verdi forti sigari arrotolati a mano. La gente ti sorride, ti accoglie, e ti ringrazia. Anche quando i nostri scatti superano il limite, c’è sempre per noi un sorriso ed un ringraziamento. C’è stato un monaco in un monastero che ricordo particolarmente. Il monaco pregava dritto in piedi davanti al Budda con gli occhi chiusi in penombra e teneva nelle mani un rosario ed una ciotola, recitando in totale silenzio meditativo i suoi Mantra. I nostri clic sono stati impietosi e molto ravvicinati tanto che mi aspettavo una reazione improvvisa …ma la sorpresa è stata che dopo circa mezz”ora di preghiera ha aperto gli occhi, ha guardato il Budda e poi si è girato verso di noi inchinandosi e con un sorriso ci ha sussurrato “grazie” ed è andato via molto lentamente dall’ombra verso una fonte di luce…..e noi dietro incontentabili a rincorrerlo…E’ stato in quell’attimo che ho percepito il divario tra noi occidentali avidi e insaziabili e il senso di pace del buddismo. Ho respirato un’aria pacata e armoniosa nei templi più antichi dove il tempo si è fermato in una fede universale. Ho assistito nella città di Bagan ad un tramonto su una distesa a perdita d’occhio…. come un mare fino all’orizzonte su cui galleggiano le guglie delle Stupas ( Pagode) . Ritagli di carta contro uno sfondo di nebbia, il fascino è nella sua atmosfera, nella sua pace, in quell’antico incedere senza affanni della vita. Sono passata dal silenzio dei templi alla pace del lago Inle, scivolando su lunghe affusolate barche di tec, dal rumore assordante di primitivi motori. Navigando sul lago, si lambisce un piccolo ponte in bambù, per arrivare ad uno dei templi più antichi adagiati sul lago . Un’armonia ci pervade e tutt’intorno silenzio…c’è solo il continuo cinguettio di uccelli. Ogni pagoda è diversa da un’altra ed ogni angolo ti offre una vista spettacolare sul lago a perdita d’occhio. Il lago non è profondo ed è quasi tutto coltivato ai bordi, con vegetali e riso , e si scivola con le canoe sulle canne in mezzo a cunicoli stretti dove sembra impossibile non sfiorare il fondo. Il lago è estremamente pescoso e nella pace dello specchio d’acqua si incontrano ancora i pescatori del lago Inle che remano come equilibristi con la gamba agganciata intorno al remo ed il piede ad uncino. Dall’alba al tramonto sfilano silenziosi tirando le reti colorate e battendo sull’acqua per indurre i pesci ad entrare nelle reti a forma di nassa. Sul lago ho dormito in un lussuoso hotel costruito su palafitte dove la sera un toc leggero alla porta mi portava avvolto in una carta di riso una frase d’ “amore”. Ho incontrato a Loikaw i lunghi colli delle “donne giraffa” dell’etnia dei Padaung imprigionate nei loro collari di ottone del peso almeno di 13 kg. Per i Padaung la bellezza di una donna dipende dalla lunghezza del collo. Un’usanza antichissima legata al fatto che si dovessero proteggere il collo dall’attacco delle tigri o forse un abbellimento decorativo. Nel caso se li togliessero i collari finirebbero per morire soffocate perchè la testa è ormai incapace di stare su da sola e cadrebbe bloccando la respirazione. Il collare di ottone lo portano con sè nella tomba se decidono di rinascere donne nella prossima vita, altrimenti se decidono di rinascere uomini lo tolgono, solo dopo la morte. Molte donne giraffa sono ora migrate in Tailandia per guadagnare e sopravvivere esibendosi ai turisti.
Tantissime altre etnie abitano la Birmania ed ognuna porta un turbante di colore diverso per distinguersi e sono i paò, i meo, i karen, i wa, ognuna con la sua lingua, i suoi costumi ed abitudini di vita diverse. I wa erano considerati cannibali e tagliatori di teste e non si separavano mai dai loro coltellacci . Fuori dai loro campi si dice che mozzassero la testa di un bambino per offrirla nei campi in omaggio alla dea del riso. L’etnia degli sha erano invece re contadini dove la vita era rimasta per secoli la stessa ritmata da vecchie cerimonie e regolata da rapporti feudali. Un giorno lungo la strada dissestata che percorrevamo ho incontrato un gruppo dell’etnia dei paò che banchettava ad una festa offerta da una famiglia ricca, ci hanno invitato a sedere e mangiare con loro. La sala era piccola , tavoli rotondi, donne che aspettavano con pazienza il loro turno per mangiare ed uomini che fumavano in un’atmosfera di decadenza.
I miei occhi ed il mio obbiettivo si sono saziati di immagini e di storie.
Ho visto ristrutturare un tempio con le impalcature tutte in bambù che sorreggevano gli operai a dieci metri di altezza, quasi il miracolo del buddismo si ripeta continuamente nella sua immaterialità. Ho camminato a Mandalay su un ponte lungo chilometri, antichissimo, costruito su tronchi di tec e bambù in cui la flessibilità si mescola alla stabilità. All’ora del tramonto, sul lago solcato da barche allungate come gondole, il legno del ponte si infiamma e si veste dei colori dell’ incendio. Ho visto a Yangoon un Budda di 50 metri di lunghezza, una Pagoda tutta d’oro alte 148 metri e più di 9000 Budda nascosti in una grotta per scampare alle persecuzioni militari. Ho incontrato la spiritualità dei monaci e dei pellegrini alla “rocca d’oro” in Kyaikhtiyo dove si mescola la tribalità conviviale alla preghiera. Ogni monaco o pellegrino laico si avvicina in preghiera ed offre alla “rocca” il suo quadratino d’oro e la sua preghiera. Il miracolo è che da centinaia di anni la rocca si regge su un capello di budda in continuo equilibrio.
La Birmania pullula di processioni di monaci che si mescolano ai poveri del luogo all’interno dei monasteri. I monaci sono poveri e sono gli unici che in Birmania ricevono un’istruzione. Tutti i cittadini obbligatoriamente frequentano un anno di scuola nei monasteri ed indossano l’abito del monaco vivendo di sola elemosina. Molti poi scelgono di proseguire per questa strada. Ci sono villaggi interi abitati solo da monaci, dove la vita è semplice e si basa sul principio di “prendersi cura di se stesso e degli altri”. La vita nel villaggio è dura ci si alza molto presto per le preghiere, i maschi sono in comunità separate dalle femmine, il cibo è scarso ed è fatto di solo riso o mais,vegetali, ed acqua, e si vive di elemosina. Ma nessun essere umano, per quanto impregnato di un’antica cultura, non è corruttibile ai beni materiali della tecnologia moderna, così infatti l’occidente si impossessa dell’anima. Infatti ecco che i monaci più piccoli si affollano davanti ad un ambulante che gli porta giornaletti o fumetti ed i più grandi sono intenti con i cellulari o ipad a scattarsi foto- selfie e a chattare con amici e familiari. E’ un mondo già contaminato dove l’utilizzo dei mezzi moderni ha creato anche lì dipendenza ed il turismo , con le sue esigenze ha trasformato in dieci anni il volto delle città. Uno stato che per quasi mezzo secolo era stato inaccessibile, improvvisamente si apre, l’ironia è che è stata una dittatura a mantenere per anni la Birmania “se stessa”. Ma si percepisce comunque l’identità forte di un popolo gentile e coraggioso segnato da soprusi che continua passo dopo passo a trasformare “con la pace e con il sorriso” una dittatura militare, ancora subdolamente presente, in una democrazia spirituale, contaminato dall’invasione tecnologica occidentale e dalla corruzione della vicina Tailandia. Un popolo che può essere d’esempio per tutte le popolazioni del mondo senza perdere il volto della sua identità, e che anela al Nirvana del Budda.
Ho scritto questa testimonianza perchè ogni dettagliata descrizione di qualcosa che ho visto ed ogni testimonianza fotografica lascia un seme nel terreno della memoria e della storia.